"Cara Lietta, forse hai il gene dell'amore" - ilGiornale.it

2021-11-17 08:42:20 By : Ms. Trina Zhou

Rivolto alla figlia, lo scrittore mette in luce le sue debolezze. E un profondo affetto

Con il permesso dell'editore pubblichiamo parte di una lettera inviata da Giorgio Manganelli alla figlia Lietta l'8 luglio 1974. La Lettera, già apparsa su Circolazione a pià cuori. Lettere di famiglia (Nino Aragno Editore, 2008), chiude Notte tenebricosa di Giorgio Manganelli (edizioni Graphe.it, da domani in libreria).

Gli ultimi anni sono stati anni di dolore cronico, un lebbroso, un dolore canceroso, distrofico, una corsa frenetica su e giù per un labirinto e urtando tutte le pietre e gli angoli e commettendo sempre un errore perché ora non c'erano strade giuste. Essere nel torto e nel giusto allo stesso tempo: essere nel torto, perché non puoi negare che ciò che stai facendo è incomprensibile a te stesso nella sua germinativa brutalità di dolore. E abbi ragione perché senti male che in quella rupe di serpi, di ortiche, in quelle grotte, in quelle stanze di lebbra, in quella cronaca di sé in cui si è trincerati, come se si fosse una fortezza, e può darsi che è una vera fortezza, lì in quella catacomba degradata in una cloaca c'è quel tanto di dura e vitrea verità che ti appartiene. E quindi si può solo avanzare indietreggiando, scrutare nella compattezza delle tenebre, soffrire le tenebre e sapere che non si può fare altra scelta. Ecco, quello che mi hai dato nella tua lettera è una proposta d'amore senza giudizio come hai scritto: "Qualcuno che forse ti ama, più di quello che vuoi". Cara Lietta, forse hai il gene dell'Amore e allora posso sperare che mi starai veramente vicino senza giudicarmi, come nemmeno io so fare, anche se con furia obbedisco a quello che chiamo il mio destino, quella parte misteriosa che Mi è stato affidato, per quanto piccolo, un tappeto che riconosco dalla puntura minuta e interrotta dell'ago, che mi conosce e mi disegna. A volte ci si chiede se si possa dialogare con l'ago senza mai osare chiedere di vedere l'ombra o la luce, entrambe intollerabili, della mano che lo governa; quell'ago saggio, indifferente, amoroso che forse può accecare le tue pupille, forse perforarle, può spalancarle. In questo dialogo con l'ago non c'è pausa, non c'è dolcezza e nello stesso tempo c'è tanta dolcezza, di quella dolcezza fatale e struggente che si sperimenta solo nel cuore della più intollerabile sofferenza, perché non è permesso rinunciare. . Ci sono stati giorni così lenti, così amari, così imprecisi, che era difficile resistere alla sacra disperazione - la disperazione di chi sa di essere vivo, ma non sa come usare quella condizione, come se il suo corpo avesse diventare più grosso, più goffo, più pesante, più inetto di lui. Con chi parli quando l'erba di capra ti scivola di mano? È solo un disegno semplicemente difficile e intricato che l'ago sta tentando? È il fatto che lo sta mettendo in atto su di te? È una miracolosa terribile coincidenza di dannazione o grazia? Quell'ago che conosce l'intero tappeto ha i termini per giudicarmi che io non ho? Sarà che alla fine la grazia sarà concessa a coloro che hanno pronunciato, non certo su se stessi, almeno un'ipotesi di condanna? Perché la condanna totale sarebbe un atto di orgoglio intollerabile e forse rovinerebbe l'intero tappeto in misura enigmatica. Dolcezza mia, dalla tua lettera ho ricevuto una carezza quale non avrei sperato da nessun altro. Scusa cara Lietta, vedi come sporca la carta come un bambino alle prime aste. Il fatto che ora mi sia accorto che il nastro è quasi del tutto usurato, anzi a pezzi e la macchina stessa incredibilmente sporca, sintomo anche negli ultimi mesi, di uno sforzo così attento da diventare completamente cieco. Non ti ringrazio per la tua lettera, perché non rientra nell'ambito modesto delle cose, dei gesti, delle parole, per le quali è possibile ringraziare. Abbraccio te e tutti coloro che ami e perciò abbraccio anche me, secondo la tua volontà».