Il gran volo di Bene dal Salento al teatro - La Gazzetta del Mezzogiorno

2022-10-01 14:59:51 By : Ms. Alisa Xiong

La Puglia è uno stato d'animo. La si ritrova ovunque anche nella Capitale: ed ecco che tra ulivi sempiterni e luoghi del cuore si possono scovare angoli pugliesi anche a Roma.

Tra i miracoli attribuiti a san Giuseppe da Copertino, il presbitero vissuto nel Salento del ‘600, il più appariscente è senza dubbio quello della levitazione. Considerato il patrono degli studenti, il santo, secondo la tradizione, riusciva a spiccare in volo durante la celebrazione della messa, restando sospeso davanti ai suoi fedeli attoniti. Meno votato alla liturgia canonica, e pur non essendo perlomeno documentata un’attitudine fisica al volo, un altro salentino, secoli dopo, affascinerà l’Italia con i propri artifici; in questo caso con la voce, la drammaturgia, il carisma, l’intensità e l’attitudine spiazzante, trasgressiva: Carmelo Bene, nato a Campi Salentina il 1° settembre del 1937, esattamente due anni prima che scoppiasse la Seconda guerra mondiale.

A Campi Salentina Carmelo Bene, figlio di Amelia e Umberto, gestori di una fabbrica di tabacco (e il tabacco nella vita di Carmelo non mancherà mai), frequentò la scuola dei padri Scolopi, gli istituti popolari fondati da un altro santo del Seicento, lo spagnolo Giuseppe Calasanzio. L’infanzia e l’adolescenza trascorrono tra «i campi di velluto nero trapuntato di lucciole e l’odore stordente dei gelsomini»; serve a messa, nello scenario barocco della chiesa madre di Campi Salentina: i genitori lo mandano a Roma, perché diventi un avvocato, o un notaio, ma la storia prende subito una piega diversa. Come il Salento d’origine, anche Roma è barocca per eccellenza; in più, caotica e ribollente di idee, luoghi di aggregazione, un fermento sotterraneo che tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta attraversa tutto il mondo delle arti. Il cinema, ovviamente, nelle visioni oniriche di Fellini, la pittura, le gallerie dove espongono Mario Schifano e Franco Angeli, e ovviamente la musica e il teatro.

Carmelo Bene, pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza all’università La Sapienza, frequenta più laboratori e scuole di recitazioni che le aule universitarie. Il debutto a teatro arriva nel 1959 al Teatro delle Arti con il Caligola, tratto da Albert Camus e da Bene diretto e interpretato. Le circostanze che permisero al giovanissimo e sconosciuto Carmelo Bene di convincere Camus – durante un incontro a Venezia – a concedergli il testo sono avvolte dalla leggenda, fatto sta che la messa in scena fu un trionfo, lodato dalla stampa. Scrissero i giornali: «Ecco un attore, lo diciamo in tutte le lettere, nuovo, pieno di idee e di mezzi tecnici fino allo spreco. Che il cielo lo protegga».

Di protezione celeste, però, Bene non aveva voglia o bisogno – o almeno così gli piaceva far credere – passando agilmente da William Shakespeare a Vladimir Majakovskij, da Cristopher Marlowe a Collodi e Oscar Wilde, affinando la tecnica vocale, innovando o rimescolando il linguaggio del teatro sulla scia delle influenze di Joyce, Artaud, Deleuze. Nel 1966 arriva sotto forma di romanzo “Nostra signora dei Turchi”, a ricordare quanto nella cosmogonia di Bene restino centrali le radici nel Salento, qui con Otranto e l’invasione saracena protagoniste di una trama indecifrabile, sperimentale; l’opera verrà portata quindi al cinema e sul palcoscenico. Tra gli spettatori della messinscena romana, ancora al Teatro delle Arti, a due passi da via Veneto, si alterneranno tra gli altri Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Vittorio Gassman, Mariangela Melato, Giuseppe Patroni Griffi, Alberto Moravia. Eppure, lo spettacolo più chiacchierato a cui Bene avesse mai preso parte era andato in scena pochi anni prima, ancora a Roma, questa volta nel Teatro Laboratorio di Trastevere, nel cuore di piazza San Cosimato. (1 - continua)

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