NBA, cosa succede in casa dei Boston Celtics | L'Ultimo Uomo

2022-10-01 14:58:04 By : Ms. Gao Aria

Da favoriti per il titolo a un futuro incerto senza nemmeno giocare una partita.

Alla NBA piace raccontare se stessa come una “ 12-month league ”, una lega in cui c’è sempre qualcosa di cui discutere per dodici mesi all’anno. Ma c’è un motivo se la off-season si chiama così, e cioè che nei mesi estivi — diciamo nel periodo che intercorre tra la fine della Summer League di Las Vegas e l’apertura dei training camp — solitamente accadono poche cose. Quest’anno, invece, ci sono stati più avvenimenti di quanto siamo abituati: Donovan Mitchell ha cambiato squadra, Kevin Durant alla fine non lo ha fatto, i Phoenix Suns prima o poi avranno un nuovo proprietario. Ma c’è una squadra in particolare che ha cambiato profondamente volto da quando l’abbiamo lasciata a luglio a come la ritroviamo adesso a fine settembre, e coincidentalmente è anche una delle finaliste dello scorso anno.

I Boston Celtics si sono lasciati alle spalle una stagione 2021-22 che, al netto della cocente sconfitta alle Finals, non può che essere considerata di successo. Dopo un inizio stentato erano riusciti a diventare  la miglior squadra della lega nella seconda metà di stagione , legittimando il loro status con una cavalcata playoff che, al netto di qualche passaggio a vuoto, li ha visti giocarsela fino a gara-6 con i Golden State Warriors campioni NBA. I primi giorni del mercato, poi, avevano colmato anche le lacune che avevano determinato la loro sconfitta in finale: gli arrivi di Malcolm Brogdon e Danilo Gallinari sembravano migliorare esponenzialmente una panchina che aveva offerto poche alternative nel corso della serie contro Golden State, rendendo ancora più profondo un gruppo confermato in tutti i suoi elementi più importanti.

Nonostante la sconfitta contro Steph Curry e soci, a metà luglio c’era molto per cui essere ottimisti — e anche i bookmakers sembravano concordare con questo scenario decisamente speranzoso sulle loro possibilità, indicandoli come i favoriti assoluti per vincere il titolo NBA 2022-23. Quello che è successo dopo è stato tanto imprevedibile quanto dannoso per le certezze che pensavano di aver costruito, tanto che oggi diventa più che mai difficile immaginare come si svilupperà la loro stagione.

La lunga estate tra mercato e infortuni

A mostrare una prima crepa nelle certezze granitiche dei biancoverdi è stata  la voce rilanciata da Adrian Wojnarowski di ESPN secondo la quale la dirigenza dei Celtics avrebbe offerto Jaylen Brown ai Brooklyn Nets pur di arrivare a Kevin Durant. Un’offerta che, secondo quanto scritto, avrebbe compreso anche Derrick White e una prima scelta al Draft, ritenuta però troppo bassa dai Nets che — come sappiamo — alla fine non hanno trovato uno scambio che soddisfacesse  le loro alte richieste per Durant . Per una settimana intera non si è parlato di nient’altro che non fosse la possibile trattativa per portare KD a Boston, con il risultato di indispettire Jaylen Brown, o almeno questo è quello che in molti hanno letto nel tweet che ha pubblicato appena dopo l’inizio dei rumors.

Dello scambio tra Boston e Brooklyn poi non se ne è fatto niente e le voci sono sparite più o meno come sono arrivate, anche se non sono destinate a sparire del tutto.  La situazione contrattuale di Brown lo porterà quasi certamente a diventare free agent nel 2024, visto che un’estensione ora o il prossimo anno vorrebbe dire come minimo a rinunciare a una ventina di milioni di dollari (e, potenzialmente, molti di più nel caso in cui il cap dovesse salire ancora come ci si attende), a meno che non venga nominato per un quintetto All-NBA nei prossimi due anni. Di sicuro le voci di trade non sono state piacevoli per lui, ma tutto sommato — anche ascoltando le sue parole al Media Day — non sembrano aver lasciato strascichi pesanti in spogliatoio. E, considerando quello che è successo dopo, i Celtics avrebbero di gran lunga preferito che il loro grattacapo principale fosse “solo” quello di restaurare qualche crepa nel rapporto con Brown.

Nel giro di poche settimane, infatti, sono arrivati due infortuni che rappresentano due grossi colpi per la rotazione dei Celtics, specialmente sotto canestro. Il primo a farsi male è stato Danilo Gallinari, che nell’ultima partita di qualificazioni ai Mondiali prima di Eurobasket si è procurato la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Un colpo pesantissimo non solo per l’azzurro, che a 34 anni si trova ora davanti a una riabilitazione che potrebbe fargli perdere l’intera stagione, ma anche per i Celtics, che comunque contavano sulle sue doti balistiche per aprire il campo a Tatum e Brown e offrire un’alternativa tattica diversa nella rotazione dei lunghi.

Now focus on my rehab 💪🏻🔥#Celtics #ATuttoMotore #injury #rehab pic.twitter.com/kfM0KPgoiD

L’operazione è stata poi effettuata settimana scorsa: la speranza di vederlo in campo in questa stagione non è del tutto sopita, ma ovviamente dipenderà molto da come procederà la riabilitazione.

Un reparto che ha dovuto fare i conti anche con l’ennesimo contraccolpo per Robert Williams, che ha dovuto operarsi di nuovo al ginocchio sinistro dopo aver già rimosso una parte del menisco lo scorso marzo. Dopo aver disputato i playoff sottoponendosi quasi quotidianamente a procedure di drenaggio e trattamenti pur di scendere in campo, nel momento in cui ha aumentato i carichi in vista del training camp è tornato ad avere problemi al ginocchio, optando così per un’operazione di pulizia che lo terrà fuori dalle 8 alle 12 settimane. Il suo infortunio e quello di Gallinari hanno lasciato sfornito un reparto lunghi che ora come ora può contare solo sul 36enne Al Horford e su Grant Williams come giocatori NBA affidabili, mentre alle loro spalle ci sono minuti da conquistare al training camp per i vari Sam Hauser, Luke Kornet, Noah Vonleh, Mfioundu Kabengele e Luka Samanic. Nessuno di questi sembra in grado di poter tenere il campo per una squadra con le ambizioni dei Celtics, e ad occhio c’è spazio perché un veterano rimasto a spasso (i nomi più chiacchierati sono quelli di Carmelo Anthony e Dwight Howard) possano essere chiamati per allungare la rotazione, in attesa che si sappia qualcosa di più almeno su Williams. 

Ma se anche gli infortuni fossero stati i problemi principali dell’estate, i Celtics avrebbero comunque ragionevolmente potuto ritenersi favoriti a uscire di nuovo dalla Eastern Conference per conquistare le due vittorie che li hanno separati dal titolo NBA. È quanto accaduto con l’allenatore Ime Udoka a gettare un’ombra lunga sulla squadra, non solo nell’immediato ma anche nel futuro.

Il complicato e misterioso affaire Udoka

La prima cosa da dire su quanto accaduto a Ime Udoka è che non abbiamo in mano tutti gli elementi per poterci fare un’idea completa di quanto è realmente successo. Quello che sappiamo per certo è che in questa stagione non sarà lui l’allenatore dei Celtics: con una notizia arrivata all’improvviso una settimana fa, la franchigia ha deciso di sospenderlo per un anno per aver intrattenuto una relazione intima con un membro femminile dell’organizzazione. Un’eventualità espressamente vietata dal codice interno dei Celtics (e anche del resto delle squadre) nonostante la relazione sia stata inizialmente descritta come “consensuale”, aggettivo che dopo i primi report è stato sempre più sfumato fino alla notizia riportata da The Athletic che, come minimo, alcuni commenti fatti da Udoka sono stati ritenuti “non richiesti” dalla destinataria degli stessi, facendo cominciare a luglio l’investigazione che ha portato infine alla sua sospensione.

Udoka ha accettato quanto deciso dalla squadra (ammettendo quindi implicitamente che è tutto vero) e in un comunicato si è scusato pubblicamente, così come la franchigia — pur convocando una conferenza stampa a cui hanno partecipato il proprietario Wyc Grousbeck e il capo della dirigenza Brad Stevens — ha commentato la vicenda nella maniera più vaga possibile, mantenendo il riserbo su quanto accaduto anche per comprensibili motivi di privacy (anche perché nelle ore successive alla notizia si è creata una orribile “caccia alla colpevole” su Twitter, condannata da Stevens stesso con parole molto dure).

Celtics Brad Stevens: “We have a lot of talented women in our organization and I thought yesterday was really hard on them. Nobody can control Twitter speculation and rampant bullshit, but I do think we have a responsibility to make sure we are there to support them.”

— Malika Andrews (@malika_andrews) September 23, 2022

Quello che è realmente successo forse diverrà di dominio pubblico tra qualche tempo, ma non è nemmeno necessario che accada per comprendere che il futuro di Udoka ai Celtics è quantomeno in dubbio. Se quello che Udoka ha fatto ha convinto la franchigia a togliergli il suo posto di lavoro — a pochi mesi di distanza dal primo viaggio alle Finals in oltre un decennio e con alle spalle il sostegno quasi incondizionato dello spogliatoio, nonché l’ammirazione sostanzialmente di tutta la NBA — vuol dire che è grave. Grave abbastanza da portare i Celtics a dire che “una decisione sul suo futuro con la squadra oltre questa stagione verrà presa in un secondo momento”, aprendo quindi di fatto alla possibilità che questa sospensione diventi un licenziamento a tutti gli effetti.

Indipendentemente da come andrà questa stagione, infatti, sembra improbabile immaginarsi che tra un anno Udoka torni al suo posto come se nulla sia successo, peraltro con il contratto in scadenza nel 2024. Quella della sospensione di un anno sembra una decisione “tampone” da prendere nel più breve tempo possibile per proteggere la squadra a pochi giorni dall’inizio del training camp e per permettere ai legali di capire se ci sono i margini per il licenziamento definitivo, o forse un modo per “proteggere” la carriera di Udoka — che è cominciata in maniera eccellente dopo una lunghissima gavetta partita dal coaching tree di Gregg Popovich, e che rischia di essersi già conclusa. Questa storia rappresenta un passaggio che difficilmente verrà dimenticato nel suo percorso, anche se i casi pregressi di  Jason Kidd e  Chauncey Billups , seppur avvenuti in tempi e modi molto diversi, depongono a favore di un suo eventuale ritorno. Questo non toglie comunque che sono state le sue azioni del tutto volontarie a determinare questo esito: era all’inizio di una carriera da capo-allenatore estremamente promettente e ha rovinato tutto per una relazione extra-coniugale (lui e l’attrice Nia Long non sono sposati, ma hanno avuto un figlio nel 2011 e sono fidanzati dal 2015). In tutta questa storia, non bisogna dimenticarci che il primo colpevole è senza dubbio Udoka.

Il casino nelle mani di Joe Mazzulla

Per uno strano scherzo del destino, anche nel passato del successore di Udoka c’è  più di un episodio dubbio , anche se fanno riferimento a un periodo della sua vita (quello dell’università, nel quale giocava per West Virginia, peraltro raggiungendo le Final Four nel 2010) decisamente diverso rispetto a quello nel quale si trova Udoka oggi. Incidenti, seppur gravi, considerati come “giovanili” e che non gli hanno precluso una brillante e promettente carriera da allenatore, anche se il ruolo nel quale è stato catapultato è estremamente diverso rispetto a quello a cui era abituato. Mazzulla, 34 anni, è l’unico allenatore rimasto dallo staff di Brad Stevens, ma lo scorso anno non era nemmeno seduto in prima fila al fianco di Udoka in uno dei posti che spetta agli assistenti di più alto livello: le sue referenze sono ottime (oltre alla fiducia di Stevens, è stato anche uno dei finalisti per il posto di capo-allenatore per gli Utah Jazz, dove presiede l’ex capo dei Celtics Danny Ainge) e ha già un rapporto con i membri del roster, ma la sua unica esperienza alla guida di una squadra è a Fairmont State, un college di Division II. Non esattamente la franchigia più storica della NBA reduce dalle Finals e con legittime ambizioni di titolo a 15 anni di distanza dall’ultimo.

È sicuramente indicativo della situazione che sia stato Mazzulla a essere scelto come capo-allenatore e non uno degli assistenti portati a Boston da Udoka, tra cui alcuni che hanno lasciato situazioni di alto profilo (Aaron Miles era nello staff dei Golden State Warriors, Damon Stoudamire era capo-allenatore a University of Pacific, Ben Sullivan aveva appena vinto il titolo coi Milwaukee Bucks) per seguirlo a Boston. Non sorprende, allora, che Stevens  secondo quanto scritto da ESPN stia cercando di riportare Jay Larranaga a Boston, passato agli L.A. Clippers nel 2021 all’arrivo di Udoka dopo nove anni sulla panchina dei Celtics come assistente. C’è un intero coaching staff da ricostruire, visto che tutti erano estremamente fedeli a Udoka, tanto (probabilmente) da rifiutare di prenderne il posto anche solo ad interim. Conquistare la fiducia dei suoi assistenti sarà difficile per Mazzulla almeno quanto lo sarà nei confronti della squadra: non è stato il “secondo in carica” a prendere il posto di Udoka (era Will Handy, ma è diventato capo-allenatore degli Utah Jazz), ma uno della seconda fila. E le gerarchie nella NBA contano, specialmente nei coaching staff.

Il media day è stato inevitabilmente contrassegnato dalla notizia che ha shockato un gruppo che Udoka era riuscito a rimettere in riga anche utilizzando metodi duri, specialmente a mezzo stampa, ma che alla fine era riuscito a tirare dalla sua parte. Per quanto il rendimento dei Celtics nel 2022 abbia risposto a tante domande su di loro (a partire dalla convivenza tra Jayson Tatum e Jaylen Brown), non bisogna dimenticare che fino a dicembre la squadra veleggiava sotto al 50% e Marcus Smart accusava pubblicamente le due stelle di non voler passare il pallone. Negli ultimi anni i Celtics hanno avuto uno spogliatoio frizzantino nel quale le controversie sono sempre state all’ordine del giorno: affidare un gruppo del genere a un allenatore inesperto e “a tempo” come Mazzulla, per di più in una stagione in cui ci si aspetta di competere per il 18° titolo nella storia della franchigia, è una scommessa gigantesca. Mazzulla non ha colpe per quanto è successo, ma è inevitabile che ogni sua mossa verrà posta sotto un’enorme lente di ingrandimento: cosa succederà se commetterà un evidente errore nel corso dei primi mesi? Cosa accadrà se la squadra partirà male in regular season? Il capo della dirigenza, Brad Stevens, ha dichiarato più volte di non voler tornare in panchina, ma è pur sempre uno che fino a due anni fa veniva considerato come uno dei migliori coach della lega: se Mazzulla dovesse dimostrarsi inadeguato, la pressione affinché prenda in mano le redini della squadra comincerà inevitabilmente a crescere.

Un evento come la sospensione di Udoka, che non ha precedenti specialmente così a ridosso della stagione, è in grado di far deragliare non solo una singola stagione, ma l’intera traiettoria di una franchigia. Anche perché, per quanto di successo, questi Celtics non sono così più forti della concorrenza per potersi permettere di assorbire uno scossone del genere senza tentennamenti: non stiamo parlando dei Golden State Warriors del 2016 , capaci di vincere 39 partite su 43 anche con Luke Walton in panchina al posto di Steve Kerr, ma di un gruppo che ha avuto bisogno di sette partite per battere i Bucks senza Khris Middleton (sopravvivendo in gara-6 a Milwaukee solo grazie a una prestazione storica da 46 punti di Jayson Tatum) ed è andata a una tripla di Jimmy Butler di distanza dal perdere anche le finali di conference pur avendo nettamente più talento degli avversari.

La buona notizia in ogni caso è che questo gruppo è nel pieno della maturità nei suoi giocatori più importanti, ha esperienza condivisa ad altissimo livello e ci sono abbastanza veterani a cui interessa mettere la squadra prima dei propri risultati individuali per poter mantenere bene in vista l’obiettivo del titolo. Jayson Tatum e Jaylen Brown potrebbero essere talmente forti da nascondere sotto il tappeto del loro talento tutta la polvere che è stata creata nell’ultimo mese. Magari Mazzulla si dimostrerà talmente bravo a toccare le giuste corde dei suoi giocatori e del suo staff da farli remare tutti nella stessa direzione verso l’obiettivo comune del “Banner #18”. La Eastern Conference, seppur migliorata, non è di certo la Western che non perdona niente a nessuno. Ma quello che è certo è che l’ultimo mese ha cambiato la percezione di cosa sono e dove possono arrivare questi Celtics: la domanda è se è sarà cambiata anche internamente oppure no.

Dario Vismara è caporedattore della sezione basket de l'Ultimo Uomo. Laureato in linguaggi dei media con una tesi sulla costruzione mediatica della carriera di LeBron James, ha lavorato come redattore a Rivista Ufficiale NBA e nel 2016 è passato a Sky Sport curando la sezione NBA del sito. Ha tradotto "Eleven Rings. L'anima del successo" (Libreria dello Sport) ed è il curatore della "Guida NBA 2017-18" (Baldini & Castoldi).

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